La storia di un territorio è scritta nei suoi luoghi, nelle modificazioni che su di esso ha fatto l’opera dell’uomo.

E’ scritta nelle parole di chi l’ha raccontata, è nelle immagini di quelli che hanno voluto fissare i loro ricordi.

Forse furono gli antichi e mitici Pelasgi ad abitarla per primi, tremila anni, fa come suggestivamente fanno ipotizzare i resti di un insediamento venuto alla luce proprio in questi mesi a Casali di Vaccina. Sicuramente fu territorio del dominio di Caere, una tra le più potenti città di tutta la storia etrusca, che proprio ai due estremi del triangolo, ad Alsium e a Pyrgi, aveva i suoi porti da dove partivano le navi che, per commercio o per pirateria, solcavano il mare senza paura.

Fino all’arrivo dei Romani che, tracciando il loro cammino a nord del Tevere, trovarono con l’Aurelia proprio ad Alsium il primo sperone di roccia che interrompeva la lunga e piatta spiaggia paludosa distesa da Ostia fino a Maccarese.

Furono secoli di splendori per la piccola comunità sul mare, con ville lussuose ed ospiti illustri. Da Pompeo a Cesare, da Cicerone a Virgilio Rufo: venivano per trascorrere, tra i marmi pregiati delle ville sul mare, gli ozii in un luogo di voluttà.

Ma quando la potenza romana non ci sarà più a dominare e rendere sicure le terre, la piccola Alsium scomparirà e tutto sarà sepolto: torneranno a crescere gli acquitrini e per più di cinquecento anni non ci sarà nessuno a contrastare il passaggio degli invasori e lo sbarco dei predoni. Ci passeranno gli Ostrogoti e i Longobardi mentre saranno i Saraceni a distruggerla completamente nel decimo secolo.

Sono del medioevo le prime tracce di una nuova edificazione: è la Turris de Pulvereio che compare nelle carte della Marina genovese chiamata a Roma nel 1132 da Papa Innocenzo II, mentre nel 1250 il documento di un principe normanno narrerà di nuovo dei luoghi ove sorgeva l’antica Alsium: ma tutto intorno era paludoso e nel documento si parla di Castrum Pali, la “Fortezza della palude”. Il nome Alsium è scomparso, non ne troveremo più traccia.

E’ infatti Pali che compare in una delle mappe più antiche del Lazio, quella disegnata all’inizio del cinquecento da Leonardo da Vinci e contenuta nel Codice Atlantico. Il Castrum diventerà un vero e proprio castello, intorno al quale risorgerà un piccolo paese e un approdo per le imbarcazioni.

Il territorio stava a metà cammino per chi da Roma andava al grande porto di Civitavecchia: il Castellaccio dei Monteroni, sul tracciato dell’antica Aurelia, era il luogo ideale per la sosta notturna o per il cambio dei cavalli.

Ladispoli nascerà come le città di una volta, secondo i riti più antichi: due fiumi ed il mare ne faranno da confine, il fondatore le darà il suo nome. Una delle ultime città della storia recente ad essere fondata con la solennità dei grandi momenti, anche se l’amore per una lady inglese trattenne a Londra Ladislao Odescalchi proprio il giorno del battesimo della sua nuova creatura.

Sarà rappresentato dal fratello Baldassarre, diventato da poco deputato del Regno d’Italia.

La racconta, parlandone malissimo, David Lawrence nel suo viaggio del 1927 alla scoperta degli antichi etruschi: eppure, negli stessi anni, era proprio quella “terra di confine”, a far sognare Roberto e Renzo Rossellini che tra il mare, la palude e le prime alture di Cerveteri avevano vissuto all’inizio del novecento le loro avventure d’infanzia e avevano trovato qui ispirazione per alcune loro opere.

Poi, nel 1943, arriverà la guerra, la città sarà abbandonata e al ritorno i suoi abitanti la trovarono saccheggiata e piena di mine. Quelle stesse mine che dovevano fermare lo sbarco degli alleati e che invece colpiranno tragicamente qualche ragazzo che, finita la guerra, credeva di aver ritrovato la libertà e la gioia di correre sulla sabbia nera.

Il Castello, il Borgo con il bosco diventarono un luogo dell’immaginario collettivo: ai bambini si raccontava che lì c’erano i “principi”, c’erano le battute di caccia ai daini dalle grandi corna, c’era il castello illuminato di notte con tutte le luci che riflettevano sul mare.

E, come se non fosse già tutto tanto fantastico, arrivarono anche “quelli del cinema” a mescolare finzione con realtà. Costruirono davanti al Borgo un grande galeone in legno: era la nave del Corsaro Nero che abbordava i suoi nemici, mentre soldati spagnoli a cavallo scorrazzavano nel parco e dalla spiaggia arrivavano le voci e i canti dei pirati della “Taverna dei Bucanieri”.

Il tempo appena di cambiare le scene e nel parco-giardino il regista John Huston ricostruiva per il suo film La Bibbia il luogo più bello del mondo, il Paradiso Terrestre. E poi ancora, come in un set in continuo cambiamento, nasceranno uno dopo l’altro nei luoghi di Ladispoli alcune scene dei film che saranno una parte importante della storia del cinema italiano: Umberto D alla stazione di Palo, La grande guerra al Castellaccio dei Monteroni, L’uomo di paglia sulla spiaggia di Torre Flavia, Il sorpasso sull’Aurelia tra San Nicola ed Osteria Nova.

Oggi Ladispoli, superato il suo primo secolo di vita, è diventata una delle più grandi città del Lazio: lo ha fatto quasi per caso, trasformandosi in una cosa diversa da quella che all’inizio doveva essere, la Città dei Bagni.

Le poche famiglie che sono a Ladispoli da più di tre generazioni si trovano sparse in una grande struttura urbana dove vivono quarantamila abitanti, venuti da ogni parte di Italia e, negli ultimi anni, da tutte le parti del mondo.

Ce lo ricordano le mille voci dei bambini festosi all’uscita dalle scuole, le colonne di pendolari che la sera ogni mezz’ora fuoriescono dai cancelli della stazione come le acque di un fiume quando si aprono le dighe. E ce lo ricorda lo spaesamento che prende i più anziani, quando camminano nella “loro” città, ma faticano a trovare qualche volto conosciuto.

In fondo le città sono come le persone: hanno un corpo fatto dalle case, dalle strade, dalle piazze. E hanno un’anima fatta dagli abitanti, dalle loro abitudini, le loro tradizioni. Queste cose, tutte insieme, fanno l’identità di un luogo.

Ed allora, se questo è vero, qual è l’identità di Ladispoli? Quella della sua storia millenaria o quella del suo essere un nuovo quartiere metropolitano? Quella del traffico e delle mille voci di Viale Italia o quella del silenzio quasi irreale del parco di Palo?

Probabilmente di “identità” in questa città ce ne sono cento e non ce ne è nessuna, forse l’identità più forte è l’assenza di una identità definita, è il continuo mutare che in tremila anni ha visto passare e svilupparsi tante storie e vicende diverse e che nell’ultimo secolo ha visto un accelerarsi improvviso dei mutamenti. E l’identità collettiva a questo punto è certo un’identità plurale, fatta dall’insieme delle tante diverse minute identità che ognuno si è portato con sé dai luoghi di provenienza, contribuendo a costruire quella “città di tutti” dove nessuno si sente estraneo e nessuno si sente padrone.

Storia di Ladispoli



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